A non molta distanza da Firenze, in piena area del Chianti, vi è un’opera d’architettura che per quanto poco conosciuta è tra le più eccelse tra quelle costruite in Toscana nella seconda metà del Novecento. Si tratta della villa Brody-Monsani, così identificabile in quanto commissionata inizialmente da Alexander Brody, un ricco uomo d’affari statunitense di origini ungheresi, ma divenuta in seguito di proprietà di Roberto Monsani, l’architetto fiorentino che ne fu l’artefice.
La villa fu pensata quale casa di vacanze per il signor Brody e sua moglie Petra, di origini tedesche. Brody, che dagli Stati Uniti si era trasferito per lavoro in Germania, aveva ricevuto dalla famosa società Young & Rubicam un prestigioso incarico in Italia ed era quindi nelle condizioni economiche di potersi permettere un’abitazione più che degna per sé e la sua famiglia.
Senonché, pochi anni dopo il completamento dell’opera, nel 1972-73, accadde che il committente e il professionista incaricato si accordarono per il passaggio di proprietà della villa a quest’ultimo, l’architetto Monsani, il quale finì per diventare il secondo marito della signora Petra. La vicenda parrebbe alquanto intrigante se non riflettesse le circostanze di allora, nelle quali le storie affettive si mescolarono a quelle edificatorie.
Capolavoro di modernità architettonica
Per quanto appartata e poco visibile da luoghi pubblici, la villa costituì un evento clamoroso per la Firenze dell’epoca, dove pure non erano mancate esperienze modernistiche strabilianti, quali le tante ville del villaggio di Monterinaldi, lungo la via Bolognese, progettate da Leonardo Ricci.
La famosa rivista ‘Domus‘ (n. 519 del Febbraio 1973) non mancò infatti di consacrare il grande valore dell’opera, cogliendolo specie nella modernità franca e audace, totalmente avulsa dal tradizionalismo e dalla tipicità dell’architettura fiorentina. In effetti, se si pensa alle errate e pervicaci credenze secondo le quali l’architettura dovrebbe possedere i caratteri del genius loci per inserirsi bene nel paesaggio, la villa Brody-Monsani costituisce al contrario un paradigma tuttora ammirevole di come si possano creare nuovi valori relazionali tra paesaggio e architettura, scegliendo la modernità quale fattore chiave dell’antropizzazione dei luoghi.
Fonti ispiratrici
Dal punto di vista funzionale e del rapporto dell’edificio col terreno, la villa Brody-Monsani in Chianti evoca la villa Tugendhat a Brno, in Moravia, di Mies Van der Rohe. In entrambe le opere, l’accesso principale avviene infatti dalla parte più alta dell’edificio, da cui si scende ai piani più bassi che sono a contatto più diretto con la natura e l’ambiente. In tal modo si valorizzano appieno le proprietà panoramiche e topografiche del sito, adattando l’architettura alla sua conformazione lievemente scoscesa. Le analogie con l’architettura residenziale di Mies sono riscontrabili anche in altri aspetti, quali la nettezza dei volumi e delle superfici, la fluidità degli spazi, la trasparenza delle vetrate che consentono la comunicazione visiva tra interni ed esterni.
Le varie soluzioni tecnico-estetiche rimandano inoltre all’opera di altri famosi architetti, quali l’austro-americano Richard Neutra, il finlandese Alvar Aalto, il danese Arne Jacobsen. Si tratta di maestri dell’architettura contemporanea, i quali segnarono la storia dell’enorme successo mondiale che ebbero nel Novecento le residenze vistosamente moderne, atte a favorire il diffondersi di stili di vita domestici nuovi e sganciati dall’usualità. Aggiungerei altresì quali possibili referenti due altri architetti americani, molto più giovani, che all’epoca facevano parte dei New York Five, ovvero del gruppo che propugnava il recupero dei valori primordiali delle avanguardie radicali: il primo è Richard Meier, per la predilezione assegnata alle composizioni razionali e chiare, sulla scia di Le Corbusier; il secondo è Peter Eisenman per l’attenzione posta agli effetti scaturenti dall’incastro dei volumi, controllati spazialmente mediante la rappresentazione in sezione.
Ciò rende ancor più elevato il pregio culturale della villa Brody-Monsani, che concentra in sé, in chiave mirabile, molteplici influenze internazionali.
All’epoca Monsani aveva del resto superato i 40 anni e aveva raggiunto la piena maturità professionale. Egli inoltre beneficiava del collaudato sodalizio con i fratelli Giancarlo e Luigi Bicocchi e con l’ingegnere Lisindo Baldassini, insieme ai quali aveva fondato lo studio 3BM (le B e la M erano le iniziali dei cognomi dei componenti del team) e aveva realizzato pochi anni prima a Roccamare, in Maremma, varie case di villeggiatura di elevata qualità architettonica.
Compenetrazione tra spazi interni e spazi esterni
In effetti, pensando a Meier ed Eisenman, la connessione articolata tra il volume più a monte e i volumi sfalsati più a valle è uno degli aspetti di maggior pregio compositivo della villa Brody-Monsani, che del resto ne possiede molti altri. Uno di quelli che più ammiro è la compenetrazione tra spazi interni e spazi esterni, ovvero tra spazi chiusi e spazi aperti, che rende molto gradevole e varia, oltre che libera, l’esperienza dell’abitare e dello stare in casa.
Gli spazi verandati protetti da tettoie frangisole, i patii, i percorsi connettivi che sono parti integranti dell’abitazione e sono tutti pavimentati con semplici quadroni di cemento, palesano l’intento di rendere la casa totalmente permeabile all’aria e alla luce. Gli elementi naturali pervadono anche altre parti fruibili della residenza, quali le terrazze panoramiche accessibili dal piano superiore, le quali altro non sono che le coperture piane dei volumi inferiori, sapientemente utilizzate entro la logica della composizione gradonata.
Rigorosa astrazione geometrica
L’impianto compositivo si regge comunque su un rigoroso disegno geometrico, segnato in pianta da assi paralleli e sfalsati, orientati in direzione nord-est sud-ovest, che rendono percepibile la matrice astratta e razionale del progetto, ben distinta da quella naturale dell’ambiente. L’esatta geometria formale degli elementi costruttivi e la logica che ne regola l’assemblaggio evocano peraltro alquanto chiaramente i modi compositivi neoplastici. Che si colgono soprattutto nel prospetto a sud-est, più chiuso degli altri per attenuare la visione del paesaggio (che da questa parte non piaceva molto a Monsani), e nei fronti a sud-ovest e a nord-ovest, più aperti e soleggiati, dove gli audaci aggetti di solai e setti murari, resi visivamente autonomi, creano profonde ombreggiature.
Si direbbe che Monsani abbia voluto chiaramente evidenziare il contrasto insito nel rapporto tra architettura, quale opera dell’ingegno umano, e contesto naturale d’inserimento quale dato di fatto. Lo attesta anche il fatto che la villa, verso valle, è lievemente staccata da terreno su cui poggia, dando l’impressione che essa sia sospesa dal suolo che scoscende.
Bicromia del bianco e del nero
Una tale sapienza nel fare architettura, mediante l’uso del semplice cemento chiaro di cui sono lasciati a vista i segni delle casseforme di legno (per le parti murarie), abbinato ad altrettanto basici manufatti metallici verniciati di nero (per i pilastrini, i serramenti e i pannelli), appare ancora oggi, a distanza di circa 50 anni dal completamento dell’opera, davvero mirabile se ascritta a un professionista che finora non ha riscosso la fortuna critica che meriterebbe. La predominante bicromia del bianco e del nero, coincidente con la dialettica tra brutalismo materico del cemento ed esile eleganza del metallo, rivela peraltro in Monsani una sensibilità incline a non eccedere in mezzi comunicativi.
Un altro pregio architettonico della villa è a mio giudizio il dimensionamento calibrato degli ambienti, ovvero la mancanza di spreco di spazi. I corridoi, i vani di soggiorno e di studio, le camere da letto, i servizi igienici, etc. sono dimensionati con molta accortezza, stando attenti prima di tutto alla funzionalità e al comfort domestico. A ciò si aggiunga che gli arredi (fissi e mobili) sono pensati come parti integranti degli ambienti architettonici. Essi sono disegnati e fatti realizzare artigianalmente dallo stesso Monsani che quindi creò una sorta di Gesamtkunstwerk, un’opera d’arte totale, paradigmatica del senso di coerenza estetica che si volle infondere alla villa.
Tale Gesamtkunstwerk non eccede però in ornamenti ma si sostanzia in una sorta di minimalismo o ermetismo, che quasi rende invisibili gli arredi preposti al mantenimento dell’ordine in casa, quali i numerosi armadi a parete, i mobili pensili, gli scaffali, etc. Il pregio degli arredi di Monsani risiede nel fatto che essi sono al contempo semplici e funzionali, ma anche ingegnosi e sorprendenti. Spesso egli usa pannelli in economico legno truciolare, resi lavabili e igienici, oltre che esteticamente gradevoli, mediante semplici rivestimenti di fòrmica colorata. La qual cosa attesta una certa propensione al gusto per le superfici lisce e piane, esenti da decorazioni posticce.
Insieme agli arredi, altri manufatti determinanti per la qualificazione degli ambienti interni sono le tende, poste a schermare le grandi vetrate a tutta altezza racchiuse entro gli infissi metallici neri. Si capisce chiaramente che nella villa Brody-Monsani le tende non sono optionals, da scegliere in base a gusti avulsi dal senso estetico che permea l’intera casa. Nel grande soggiorno completamente vetrato, in cui si ha l’impressione di stare all’aperto, l’importanza delle tende a tutta altezza è primaria per filtrare la luce e regolare la visione del paesaggio.
E’ indubbio che Monsani, nella villa che divenne di sua proprietà dopo essere stata progettata per il signore la signora Brody, abbia realizzato l’opus magnum della sua carriera di architetto, comunque punteggiata da numerose altre opere di pregio, alle quali vanno aggiunte quelle riferibili alla contestuale attività di designer, svolta per la casa di moda Ferragamo e per la ditta Acerbis, oltre che in altre circostanze.
Monsani e Di Salvo
Mi capitò di conoscere di persona Roberto Monsani alcuni anni or sono, quando stavo frequentando a Punta Ala, in Maremma, l’architetto Walter Di Salvo che di Monsani era stato amico, condividendo entrambi in particolare la passione per il tennis. Ne stimai subito l’eleganza, il tatto, il garbo, la serietà professionale che promanava dal suo eloquio e dalla sua persona.
Ricordo che restò lusingato dal mio interesse per la sua attività, che ai miei occhi possedeva un alto valore creativo pur essendo poco nota al pubblico e agli specialisti. La villa Brody-Monsani, eseguita negli anni che ancora risentivano, a Firenze, dei prosperosi decenni del secondo dopoguerra, dimostra che non mi sbagliavo nel considerare l’autore uno dei più valenti architetti dell’architettura toscana moderna.
EMAS (Emanuele Masiello) – Agosto 2020
Immagini EMASPHOTOS 11/07/2020
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Piante della villa Brody-Monsani. Da: ‘Domus’ n. 519 – Febbraio 1973
P.S. Nel rileggere l’articolo mi sono accorto che ho attribuito la paternità dell’opera quasi al solo architetto Roberto Monsani, mentre in realtà risultano coautori anche gli architetti Giancarlo e Luigi Bicocchi, che insieme all’ingegnere Lisindo Baldassini furono i titolari del citato Studio 3BM.
Vedasi anche
L’ARCHITETTURA DI SALVO