FROM SIDNEY WITH LOVE / LETTERA-APPELLO PER FIRENZE DELLA STUDIOSA DIANA HALL

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UNA LETTERA-APPELLO DI DIANA HALL, AUTOREVOLE STUDIOSA AUSTRALIANA DI STORIA FIORENTINA, PONE L’ACCENTO SUGLI ASPETTI CRITICI EMERGENTI DAL PROGETTO DI RIUSO DELL’EX  SCUOLA DI SANITA’ MILITARE IN COSTA SAN GIORGIO E, PIÙ IN GENERALE, SUL TEMA DELLA PRESERVAZIONE DEL PATRIMONIO STORICO-ARTISTICO CITTADINO

Alle tante voci contrarie al piano urbanistico che prevede la conversione in grande hotel di lusso dell’ex Scuola di Sanità Militare, in Costa San Giorgio, si è aggiunta di recente quella di Diana Hall, studiosa australiana indipendente, stanziata in Sidney, la quale ha ritenuto di non sottrarsi all’opportunità di pronunciarsi in merito alla vicenda, quale ricercatrice di storia medievale e rinascimentale di Firenze.

Per il tramite dell’Associazione Idra, che sta seguendo assiduamente la vicenda e sta promuovendo il coinvolgimento attivo dei cittadini nelle decisioni delle pubbliche autorità, la signora Hall ha scritto alla comunità fiorentina un’accorata “lettera-appello”, di cui si fa menzione in un articolo del 6 settembre 2021 pubblicato nel giornale di Sidney in lingua italiana  “La Fiamma”.   In tale missiva, l’appassionata cultrice di storia fiorentina espone con franchezza il suo pensiero sull’ingente investimento immobiliare, che mira al riuso del complesso architettonico conformato intorno al 1866 mediante l’accorpamento di due conventi soppressi (San Giorgio dello Spirito Santo, Santi Girolamo e Francesco), accessibili dalla ripida e sinuosa strada in Oltrarno.

A parere della signora Hall, legata a Firenze da soggiorni lunghi e iterati negli anni, è da stigmatizzare in primis la prevista destinazione alberghiera orientata a un turismo molto elitario, che aggraverebbe gli effetti deleteri della monocultura ricettiva predominante in città ormai da decenni.  Acremente biasimata è anche l’ipotesi di realizzare nell’ambito dell’operazione un “trenino turistico”, che potrebbe ledere la consolidata fisionomia di un’area adiacente al Giardino di Boboli, capolavoro mondialmente rinomato dello speciale connubio tra artificio e natura vegetale, tutelato dall’UNESCO come tutto il ‘centro storico’ della città di Firenze.

Il Corridoio Vasariano nel suo contesto urbano, visto dalla sponda opposta dell’Arno, ovvero dall’area da cui si sale verso Costa San Giorgio e le stradine adiacenti

Al di là delle valutazioni specifiche sul piano urbanistico, la lettera-appello di Diana Hall merita tuttavia a mio avviso di essere segnalata e posta all’attenzione dei lettori in quanto tocca, seppure quasi solo sfiorandoli, due  temi più generali che considero di importanza cruciale:  1) quello relativo al significato, costantemente ripensabile e ridefinibile, della nozione di “patrimonio culturale”; 2) quello riguardante le responsabilità ricadenti sui proprietari  e i fortunati beneficiari dei patrimoni culturali.

Per Diana Hall, i patrimoni non dovrebbero avere un valore meramente venale, giacché essi non consistono in soli beni da sfruttare o spendere a piacimento.  I patrimoni che si ha la fortuna di aver ricevuto in eredità dal passato, da coloro che li crearono o arricchirono, necessitano invece di atteggiamenti responsabili e consapevoli, atti a renderli fruibili con accortezza e lungimiranza.   La studiosa australiana esprime molto bene tale idea, che riacquista la freschezza comunicativa andata spesso sbiadendosi negli ultimi tempi.

Ma nella lettera-appello della signora Hall vi è un altro tema che a mio parere merita di essere evidenziato, ed è quello inerente la responsabilità che grava su coloro che i patrimoni culturali li amministrano o li vivono quotidianamente.  I fiorentini tenderebbero talvolta ad addossare sui turisti, maliziosamente, la colpa delle condizioni in cui versa la città e il suo immenso patrimonio storico-artistico.  Il che non è affatto giusto, a parere della Hall, in quanto ciò li farebbe sentire esenti dalle responsabilità storiche di cui dovrebbero farsi carico.   Si direbbe a tal riguardo ben lungi dall’essere scomparso il mesto andazzo denunciato da Antonio Cederna, nel lontano 1956, nel suo celebre libro I vandali in casa.

Col distacco di chi non è troppo immersa nelle beghe locali e con l’approccio pragmatico tipico delle culture anglosassoni, la signora Hall pone quindi l’accento, in poche righe e con parole garbate, su due temi che hanno a mio avviso primaria importanza. Essendo essi incentrati sui possibili modi di provvedere efficacemente alla tutela del patrimonio culturale, e sulle prospettive che dovrebbero favorirne il riscatto, che è urgente e necessita di essere ben guidato.

Per tali motivi, abbiamo deciso di pubblicare convintamente, di seguito, la lettera-appello di Diana Hall, avvalendoci della traduzione dall’inglese all’italiano a cura di Maria Bianchi (con la collaborazione dell’Associazione Idra guidata da Girolamo Dell’Olio), alla quale ci siamo permessi di apportare solo qualche modifica molto lieve.

Ciò facendo, con la speranza di contribuire ad aumentare la conoscenza dei temi e delle opinioni che interessano il patrimonio storico-artistico fiorentino, e italiano più in generale, mediante l’implicito invito a considerare i beni culturali con occhi sempre attenti alle tante possibili interpretazioni anche non convenzionali, ma che siano comunque degne di plauso.

EMas – Settembre 2021 (agg. Novembre 2022)

L’area dell’ex Scuola di Sanità Militare (altrimenti detta Caserma di San Giorgio alla Costa o Caserma Vittorio Veneto) in una planimetria catastale dell’Ottocento (fonte: Regione Toscana, Geoscopio)

 


 

Alla Città di Firenze e alla comunità fiorentina

attraverso l’associazione Idra

 

Vi scrivo perché sono del tutto contraria al progetto di distruggere la bellezza di via di San Giorgio alla Costa e dell’area del Forte di Belvedere di Firenze per installarvi un trenino turistico. Sono contraria alla spoliazione  del passato ottenuta ridestinando edifici conventuali al piacere unicamente di turisti ricchi. E chi altri potrebbe stare lì?  Basti dire che il progetto è fallace: l’idea di un trenino turistico è un insulto ai fiorentini che per secoli hanno risalito a piedi la collina. Per un certo verso è un insulto anche ai turisti, considerati troppo pigri per camminare o non abbastanza interessati. E quand’anche così fosse, perché mettere un trenino a disposizione di chi non rivela un interesse? La novità del trenino è forse solo qualcos’altro da aggiungere all’itinerario di “cosa fare” a Firenze?

[…]

Questo trenino e questi nuovi tipi di alberghi sono per clienti facoltosi: ma non è con un trenino che raggiungerebbero mai le loro camere. Arriverebbero con un autista privato o in taxi. Mentre i turisti di una sola giornata prenderebbero il trenino per riempire un’ora o due di intervallo noioso tra pranzo e cena. I visitatori che amano Firenze per ciò che è, invece, non lo userebbero. Chi vogliamo soddisfare?

Sono quasi 20 anni che vengo in visita a Firenze una o due volte all’anno. Ma non importa se sono a casa qui in Australia o in Italia: con la mente sono sempre a Firenze. Per me, e per quelli che la amano, Firenze è uno scrigno perfetto e ciascun pezzo, fino al più piccolo, racchiude una storia. Se il Rinascimento è iniziato lì a fine Duecento e ha continuato, per due secoli, ad aggiungere sempre maggiore bellezza strada facendo (per sua grandissima fortuna, con poche eccezioni), il Barocco le è passato accanto ed è andato a finire a Roma. Firenze è rimasta così una città rinascimentale di grandioso profilo. Ha avuto delle perdite – alcune pianificate, una guerra e un’alluvione – ma la maggior parte della città è rimasta in piedi e, anche se delle opere d’arte sono state rimosse dalla loro iniziale collocazione e sono state esposte nelle gallerie, chi – come me – vuole farlo può vederle e immaginarsele dove erano un tempo.

In anni lontani i fiorentini hanno creato la Firenze che per secoli ha attirato visitatori. Sono in molti ad essere colpiti dalla Sindrome di Stendhal. E quando scrivo che vivo sempre a Firenze, è vero. Quando non sono fisicamente lì, sono intenta a fare ricerche con l’obiettivo di mettere assieme un’antologia di sculture di figure femminili. Non è un libro di storia dell’arte o una raccolta di immagini. In realtà ho un elenco di sculture di donne tratte dalla storia, dalla Bibbia, dalla mitologia o da coperchi di sarcofagi, e ho passato anni e anni a cercarle, per trovare storie nascoste e scriverle. Non mi interessa celebrare un artista o descrivere uno stile, c’è già molto materiale di questo tipo studiato dagli esperti. Io guardo il soggetto di una scultura come fosse una persona, e ciò che scopro può essere sorprendente: un cammino attraverso la Firenze di altri tempi. Le mie maestre di storia sono le mie “donne scolpite”. Conoscete la storia della Beata Villana o sapete dov’è il suo sarcofago? Io lo so. Lei mi ha guidata dalla morte di Giotto, attraverso l’alluvione del 1333, il fallimento delle banche dei Bardi e dei Peruzzi, le piogge, i terremoti e la carestia degli anni 1346-47, quando le popolazioni della città e della campagna morivano di fame e si creavano così le condizioni perfette per la devastante peste del 1348, e attraverso molte altre cose ancora. La conosco, anche se è morta nel 1361.

Quando venni a Firenze l’ultima volta, a fine 2019, in cima alla mia lista c’era il convento di San Giorgio alla Costa, perché avevo scoperto che una delle donne delle mie sculture era collegata a quei luoghi. I dettagli della sua storia personale sono frammentari, ma la storia di tutta la sua parentela è ampia, anche se totalmente ignorata a Firenze, per quanto ne so. Sua madre – Alessandra di Bardo de’ Bardi (1412-1465) – fu una delle pochissime donne incluse dal ‘cartolaio’ Vespasiano da Bisticci nelle sue “Vite di Uomini Illustri”. Ho scoperto che Vespasiano aveva descritto un episodio accaduto proprio lì ad Alessandra. Quando era una giovane sposa, andata in visita al convento come sua consuetudine, mentre tornava a casa fu avvicinata da un corteggiatore minaccioso. E’ uno dei racconti morali di Vespasiano, ma io ero desiderosa di percepire quell’atmosfera e di cercare l’angolo dietro il quale il corteggiatore avrebbe potuto nascondersi prima di pararsi davanti a lei.

Di solito abito vicino al Duomo, ma l’amico che mi prenota il soggiorno mi disse che nel suo palazzo c’erano dei lavori e che sarebbe stato rumoroso: mi aveva trovato un altro posto, straordinariamente bello e tranquillo. Ci incontrammo vicino al Duomo, io avevo tutti i miei bagagli ma andammo a piedi e, attraversato il Ponte Vecchio, facemmo alcuni passi voltando a sinistra. Per strada, con Alessandra in mente, notai: qui è dove abitavano i Bardi!  Certo, il Palazzo Bardi era stato distrutto. Non avevo idea di dove stessimo andando, mentre camminavamo parlando. Poi cominciammo a salire su per l’erta salita di via dei Magnoli. Rimasi sbalordita quando mi resi conto che stavamo dirigendoci verso quello che era il luogo in cima alla mia lista! Conoscevo già abbastanza bene la zona da sapere che via dei Magnoli si incunea come una freccia in via San Giorgio alla Costa. Ma, proprio prima di raggiungere quell’incrocio, voltammo a sinistra in una minuscola piazzetta. Dall’angolo in fondo si diramava una stradina stretta: via del Canneto.

 

Via del Canneto, con le arcate di rinforzo tra le costruzioni

 

Ero incantata, non solo dalla bellezza del luogo ma anche da quel silenzio. Eravamo a qualcosa come 400 metri dal Ponte Vecchio e non c’era suono di passi. Il capelvenere scendeva giù lungo i muri di pietra e sulle vecchie arcate che sovrastavano la strada. In tutto il tempo che sono stata lì, non è mai cambiato niente. La mattina si sentivano i rumori delle moto dei vicini diretti al lavoro. Li sentivo tornare la sera. La maggior parte dei giorni passati lì ho visto due donne passare davanti alla mia finestra una o due volte, che chiacchieravano mentre portavano a spasso i loro canini. Chi progetta di rovinare quest’ambiente, ha mai visitato via del Canneto?

 

Via del Canneto, con altre arcate dalle sagome insolite

Non mi ci volle molto a disfare i bagagli e ad andare a fare una rapida visita alla cappella di San Giorgio, che era nel mezzo di un restauro. Non è la cappella conventuale come appariva agli occhi di Alessandra di Bardo de’ Bardi. Per lei c’erano Giotto e Baldovinetti. Ogni giorno, quando abitavo lì vicino, se le porte erano aperte vi entravo. Una volta o due ho incontrato un altro visitatore. Un giorno c’erano degli americani e, mentre parlavamo, ebbi il piacere di richiamare la loro attenzione verso un punto in alto, quasi nascosto dalle impalcature, dove c’è il bellissimo coro delle suore. Del convento, però, non c’era mai nessuno. Solo musica. Nessun numero di contatto telefonico. Bene – pensai – tornerò nel 2020. Ci starò di più e vedrò come trovare informazioni sulle suore del vecchio convento. E magari, se si può, vedrò di visitarlo. A farci visita, invece, è stato il Covid. E mi vengono in mente il 1348 e Villana.

Comunque, per me lo spirito di Alessandra era ancora lì. Ne potevo seguire i passi. Potevo fissare il consunto scalino di pietra di ingresso alla cappella. Nei musei che visitavo, potevo vedere le opere d’arte che lei aveva visto.

Per quella che è la mia esperienza, questa è quasi l’unica parte del centro di Firenze non ancora travolta dal presente. Silenziosa. Magica. Ripida da salire, certo. Ma mi fa sentire un nodo inestricabile nell’animo. I fiorentini dovrebbero lottare per la difesa del patrimonio che la loro città ha ereditato. Qualcuno lo sta facendo. Ma dovrebbero farlo tutti. Questa idea di un trenino e della distruzione del passato per il piacere di chi viene da altri mondi è sbagliata: un tale progetto non dovrebbe neppure esistere. Ai fiorentini è stato trasmesso un tesoro di cui prendersi cura, e invece loro hanno lasciato che diventasse una merce! Tanto tempo fa i fiorentini capivano che la bellezza era destinata ai loro occhi. Cito un brano del 1494, riportato dal successivo storico Ferdinando Leopoldo del Migliore.

A lato vedesi in una Nicchia una Santa Maria Maddalena di legno alta: forse piu’ di vivo di tutto rilievo, Opera del nostro celebre Donatello, talmente ben fatta, in mostrarsi in quel Corpo estenuato dalla penitenza, scoperto ogni muscolo, che sembra, per usare le proprie parole del Vasari, una perfetta notomia benissimo intesa per tutto. Se ne invaghi Carlo VIII e ne profferiva gran prezzo; onde, chi ne fece ricordo, disse, che piuttosto la gli si farebbe donate, stimandosi di tal valore, che il danaro non v’arrivasse, fe egli non fosse partito di Firenze, poco, o nulla, amico della Repubblica, o ver che in Consiglio, dove tutte le cose appartenenti al Comune si disscorrevano, non forse prevaluta l’openione di chi diceva, non doversi spogliar la Citta’ delle cose rare, per farsene spettatori di meraviglia i Popoli in altri paese, con scapito notabile di quelle gran lode dovuta a Firenze, Madre seconda d’ingegni cosi ottimamente raffinati, sotto ogni faculta’ a discipline.

Se questo trenino e la spoliazione dei conventi e di altre strutture in via San Giorgio alla Costa dovessero andare avanti, allora sarebbe assurdo sostenere che sono i turisti a rovinare la città perché gettano i sacchetti dei panini per terra. Almeno questi si possono raccogliere! La maggioranza dei visitatori comunque non lo fa, o non si vedrebbero più neppure le pietre del selciato! Il fatto è che i fiorentini e l’amministrazione comunale tratterebbero il loro patrimonio molto peggio. Un patrimonio non è una semplice eredità. E’ qualcosa che è stato consegnato dalle generazioni precedenti, per tradizione, per diritto di nascita, ma che implica anche la responsabilità di valorizzarlo e preservarlo. Un patrimonio non è la stessa cosa di un’eredità. Un patrimonio non è un oggetto o un contenitore di denaro con cui chi lo riceve può fare ciò che vuole.

La notte scorsa ho sognato Firenze. Quando mi sono svegliata, mi sembrava un sogno strano, niente di particolare, solo un po’ strano. Penso di aver fatto quel sogno perché sapevo che oggi avrei scritto questa lettera. Nel sogno ero in Piazza Santa Croce, e una mano invisibile stava gettando molliche di pane ai piccioni. I piccioni arrivavano sempre più numerosi, finché si è formato un mare di ali che sbattevano.  Ora capisco il mio sogno. Chi dava da mangiare ai piccioni erano i fiorentini, e gli uccelli insaziabili erano i turisti di passaggio, appagati soltanto da una sbrigativa gratificazione. Attenzione!!! Quando i buoni bocconi saranno finiti, i piccioni andranno da qualche altra parte ma la mano che ha gettato loro il cibo resterà vuota.

I fiorentini hanno la responsabilità di garantire che Firenze esista per le generazioni future, rispettata e non danneggiata dalle loro stesse mani.

Diana HALL
(ricercatrice indipendente australiana di storia medievale e rinascimentale di Firenze)

 


 

La signora Diana Hall in una fotografia recente

 

La Sidney Opera House e il Duomo di Firenze, opere d’architettura emblematiche delle due città, gemellate dal 1991

 


 

Costa San Giorgio

 

L’area dell’ingresso principale alla ex Scuola di Sanità Militare in Costa San Giorgio