I PREGI STORICO-ARTISTICI DI UN FAMOSO COMPLESSO MONASTICO, RECENTEMENTE RESTAURATO IN MODO IMPECCABILE
Imbattersi nell’Abbazia del Goleto mentre si vaga nell’Irpinia interna, senza mete precise ma per il semplice gusto situazionistico del déturnement, può essere un’esperienza emozionale molto sorprendente. Che mi è capitato di provare di recente, insieme a Pinzy e Pepy, spostandomi tra Basilicata, Puglia e Campania, ovvero in una porzione di territorio che rende piacevole sentirsi scopritori o riscopritori di luoghi non molto noti, in quanto preservati da intense affluenze turistiche.
Un obiettivo latente, da perseguire senza troppo impegno, era quello di rivedere a distanza di tempo come ‘reggessero’ le ricostruzioni attuate dopo il devastante terremoto del 23 novembre 1980. Il caso però ha voluto che in Comune di Sant’Angelo dei Lombardi, a non molta distanza da Lioni e Nusco, comparisse un cartello segnaletico con la scritta Abbazia del Goleto, che ha evocato importanti ricordi passati e suggerito una opportuna deviazione con sosta.
Non voglio dilungarmi sulla storia né sulla descrizione architettonica del complesso abbaziale, in quanto questo è un post prevalentemente fotografico e turistico.
Mi limito quindi a riportare alcuni brani estratti da un pannello informativo curato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali: “La tradizione vuole che nel 1131 San Guglielmo da Vercelli, fondatore della celebre abbazia di Montevergine, nei pressi di Avellino, giungesse nella valle di Conza, (…) in territorio di Monticchio e che qui vivesse per un anno da (…) eremita. Il signore del castello di Monticchio, Ruggero, preso da (…) venerazione nei suoi confronti, gli fece dono di un vasto territorio nel luogo detto Gullito, dove poter erigere un monastero in onore del SS. Salvatore. La costruzione cominciò probabilmente già nel 1133, anche se l’atto di donazione ufficiale da parte di Ruggero risale al 1135. Il complesso era destinato ad accogliere un monastero femminile di clausura; al suo interno, tuttavia, fu posto anche un monastero maschile del tutto autonomo rispetto a quello femminile, ma ad esso subordinato (…). L’abbazia rimase completamente autonoma dalla Congregazione Verginiana fino al 1506, quando il Papa Giulio II ordinò l’unione col monastero di Montevergine e la trasformazione in commenda. (…). Il complesso comprende, oltre ai due monasteri con i loro cortili interni, un’antica cappella e la chiesa del SS. Salvatore, quest’ultima eretta nel 1732 su progetto di Domenico Antonio Vaccaro in sostituzione di un edificio preesistente, è stata ridotta a rudere dal terremoto del 1980. Al centro del cortile delle monache si erge la costruzione più antica dell’intero complesso, la cosiddetta “Torre Febronia” dal nome della badessa che la fece erigere nel 1152. Questa torre, usata originariamente come campanile, ebbe anche funzioni di avvistamento e di difesa. (…). La fama dell’abbazia crebbe notevolmente quando San Guglielmo, di ritorno da un incontro con re Ruggero a Salerno, vi morì il 24 giugno del 1142. Le monache fecero costruire un grande sepolcro per accogliere le sue spoglie e da quel momento sia il Goleto, sia la tomba del Santo sono divenuti oggetto di grande venerazione e meta di pellegrinaggio”.
Per integrare le suddette scarne notizie, è comunque opportuno riferire che Guglielmo da Vercelli ebbe un ruolo importante per la diffusione della spiritualità monastica in Sud Italia, nel periodo normanno-svevo, che fu tra i più ricchi di storia per le regioni meridionali.
Le sue spoglie rimasero al Goleto fino al 1807, quando per ordine del re Gioacchino Murat furono trasferite al Santuario di Montevergine in coincidenza con la soppressione dell’abbazia. A seguito della quale la grande compagine architettonica, rimasta abbandonata, fu condannata alla spoliazione e al degrado.
Fino al 1973 quando tra i ruderi dell’abbazia si stabilì un monaco benedettino proveniente da Montevergine, P. Lucio Maria De Marino, che avviò i primi lavori di recupero e dette impulso alla rinascita del Goleto, che aveva tuttavia perduto gran parte dei suoi arredi e dei suoi beni mobili storico-artistici.
E’ altresì importante precisare che all’artista Domenico Antonio Vaccaro, uno dei più brillanti dell’ambiente napoletano del tempo, è da attribuire non solo l’erezione della chiesa (1735-45), che è tuttora identificata col suo nome, ma anche il restauro ricostruttivo dell’intero complesso, resosi necessario dopo il terremoto del 29 novembre 1732. A Vaccaro si deve in sostanza gran parte della facies architettonica che l’abbazia mantenne fino al 1980.
Un restauro esemplare
Per finire, voglio aggiungere qualche parola sul restauro architettonico a cui l’Abbazia del Goleto è stata recentemente sottoposta (2001c-2007c), con risultati che giudico più che degni di menzione e apprezzamento. Si direbbe a tal riguardo che i fondi europei impiegati per eseguire i vari interventi siano stati molto ben spesi.
Un progetto di restauro architettonico non è altro che un progetto tout court, di qualsiasi tipo o genere, e continua a sorprendere il fatto che nelle storie dell’architettura gli interventi costruttivi ex novo siano quasi sempre tenuti distinti dagli interventi conservativi.
In tutti i casi, si tratta infatti di immaginare, creare, ideare, selezionare, valutare, soppesare, verificare, controllare, etc. per giungere alla soluzione più convincente.
Il tutto fatto in maniera ‘critica’ (ovvero ‘giudiziosa’, se mi si consente), secondo l’insegnamento del famoso teorico Cesare Brandi, la cui eredità è tenuta viva dal professor Giovanni Carbonara che nel campo del restauro architettonico è un’autorità.
Ebbene, il restauro dell’Abbazia del Goleto, progettato e diretto come capo team dall’architetto Angelo Verderosa, può essere considerato esemplare per come dimostra di aver saputo valorizzare sapientemente il concetto della ‘riflessione critica’ in merito alle scelte tecniche ed estetiche che sono state compiute.
Conservazione rigorosa e innovazione cauta (talvolta integrativa) sono i poli dialettici sui quali il restauro recente dell’Abbazia del Goleto appare imperniato. Un restauro che è stato anche un recupero funzionale, un ammodernamento impiantistico e tecnologico, un riassetto degli ambiti fruitivi, che ha tenuto conto della primaria specificità del monumento che è quella di essere un palinsesto (in senso etimologico) di interventi eseguiti nel corso di una storia spesso funestata da rovinosi terremoti.
Ciò significa che si possono al contempo ammirare, tra le tante altre cose, i resti restaurati degli stucchi settecenteschi che coprivano le pareti della ‘Chiesa di Vaccaro’, come pure i tetti (rifatti) di alcuni ambienti recuperati, che utilizzano semplici e ‘neutri’ artefatti lignei ‘moderni’. Molte e più precise informazioni tecniche sono comunque leggibili nelle pagine web dedicate al laborioso intervento.
Complimenti agli autori del restauro, ai finanziatori, agli attuatori del progetto integrato, e ai Piccoli Fratelli della Comunità Jesus Caritas, ispirata a Charles De Foucauld, che dal 1990 mantengono l’abbazia del Goleto in eccellenti condizioni di pulizia e decoro, rendendola un pregevole presidio di civiltà negli sconfinati paesaggi dell’Irpinia interna.
EMas (Emanuele Masiello) – Luglio 2020
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(per maggiori informazioni si veda il sito web: https://www.goleto.it/index.asp)