LA PRATICA DI RIUSARE I MATERIALI DELL’EDILIZIA E DELL’ARCHITETTURA, PER PRODURRE MENO RIFIUTI E CONSUMARE MENO RISORSE NATURALI, STA ATTECCHENDO IN VARIE PARTI DEL MONDO. EVIDENZIANDO LA CONNESSA TENDENZA A EVITARE LA DEMOLIZIONE DEGLI EDIFICI ESISTENTI, LADDOVE SIA PREFERIBILE AGIRE MEDIANTE LA DECOSTRUZIONE. OVVERO IL DISASSEMBLAGGIO PEZZO PER PEZZO CHE NE CONSENTE IL RIUSO IN NUOVE OPERE DA REALIZZARSI.
In un recente articolo apparso nel sito web ArchDaily, colosso dell’editoria architettonica on-line, la giovane architetta e urbanista brasiliana Susanna Moreira fornisce interessanti informazioni sul fenomeno in atto. Che coinvolge sia le professioni tecniche (architetti, ingegneri, geometri, impiantisti, restauratori, etc.) sia le imprese, davanti alle quali si aprono nuove opportunità di lavoro.
Abbiamo quindi deciso di rendere noto anche in questo sito l’articolo di cui trattasi (tradotto in italiano), che riferisce tra l’altro dell’impegno istituzionale ed economico di organismi sovranazionali, quali le Nazioni Unite e l’Unione Europea, nella promozione di programmi mirati e nel finanziamento di pubblicazioni specialistiche. Come pure dell’incoraggiante successo che stanno avendo soggetti imprenditoriali che operano nel settore da diverso tempo.
Per quanto sia diventata insopportabile la parola “sostenibile”, aggiunta come aggettivo ostentato anche all’architettura, e per quanto stia diventando altrettanto insopportabile il continuo richiamo alla riduzione di emissioni di CO2, specie da parte di chi predica bene e razzola male, pensiamo che non vadano misconosciute le pratiche innovative che stanno cambiando molti aspetti concreti dell’arte di costruire.
Non si può negare che il recupero dei materiali costruttivi, a livello locale e globale, possa prospettare l’avvento di modi nuovi di antropizzare i nostri ambienti di vita e di adattarli ai cambiamenti culturali che interessano anche i valori tecnico-estetici. (EMas)
Deconstruct, Do Not Demolish: The Practice of Reuse of Materials in Architecture
(Decostruire, non demolire: la pratica del riuso dei materiali in architettura)
di Susanna Moreira, 25 dicembre 2021
(tradotto dal portoghese all’inglese da Diogo Simões e dall’inglese all’italiano da EMas)
« Il rifacimento e l’adeguamento degli spazi rappresentano una parte significativa dei progetti affidati agli studi di architettura, e il riutilizzo di strutture preesistenti non è una novità. Le funzioni e i bisogni cambiano nel tempo, pertanto sono richiesti adattamenti per soddisfare le nuove esigenze. Tuttavia, per quanto la manutenzione di un edificio sia, nella maggior parte dei casi, preferita in senso economico ed ecologico alla sua demolizione e ricostruzione fin dall’inizio, la logica del riuso di uno spazio non si estende solitamente alle sue parti che diventano, così, macerie.
Secondo il 2020 Global Status Report for Buildings and Construction, nel 2019 il settore delle costruzioni civili, responsabile del 38% delle emissioni globali di CO2 da materiali, costruzioni e operazioni costruttive, ha raggiunto il suo massimo storico. I dati frenano l’adempimento degli accordi internazionali volti alla riduzione delle emissioni inquinanti, anche riaffermando il loro ruolo chiave e strategico in questa sfida a scala globale, che minaccia il modello costruttivo come viene praticato oggi.
Nel settore costruttivo, il modello di economia lineare, usato dalla produzione allo smaltimento dei materiali, può essere facilmente schematizzato nelle fasi di estrazione, produzione, costruzione, utilizzo e smaltimento. Questo modello rivela un problema non specifico che va ben oltre la fase di fabbricazione dei materiali costruttivi, coinvolgendo anche la loro destinazione finale. Nei processi di demolizione, quando le parti della costruzione non soddisfano più le esigenze a cui si era pensato che potessero assolvere, esse vengono distrutte e trasformate in macerie. Al fine di rispettare i tempi serrati e snellire il processo di lavoro, la demolizione è stata la regola per gran parte dei progetti di ristrutturazione, che hanno eliminato la possibilità di riutilizzo dei materiali e degli elementi costruttivi.
Considerando il contesto nel quale all’incirca i 2/3 della superficie edificata oggi esistente continuerà ad esistere nel 2040, in aggiunta al fatto che i rifacimenti hanno mostrato di essere la specialità degli architetti del futuro, il modello di elaborazione degli spazi costruiti dovrebbe non essere una questione da ignorare. È necessario rivedere la forma di agire nel settore costruttivo nel suo insieme e convertire l’uso lineare dei materiali in un modello circolare: è necessario smettere di demolire e iniziare a disassemblare.
L’impatto dell’uso, per lo stesso scopo, di materiali da costruzione da riuso, può essere da 2 a 12 volte inferiore rispetto all’uso di materiali equivalenti nuovi, secondo Life Cycle Assessment (LCA). Oltre a ridurre lo smaltimento generato nella costruzione e nella demolizione, come anche le spese e le emissioni legate al trattamento di questi rifiuti (quali il riciclaggio o l’incenerimento), lo smontaggio incoraggia il lavoro e la conoscenza dell’edilizia locale, preservando i valori culturali intrinseci dei preesistenti edifici.
Mattoni, rivestimenti e altri materiali fissati con malta richiedono uno smontaggio più lungo e, a seconda delle situazioni, può non essere fattibile e/o redditizio. Pertanto, anche se la demolizione è di fatto il destino finale di un edificio – dalla demolizione degli elementi costruttivi alla demolizione dell’intero edificio –, è necessario stabilire in anticipo un programma e un quadro di analisi per sfruttare al meglio le parti costruttive.
Al fine di rendere più agevole il riuso degli elementi costruttivi, negli ultimi anni sono state numerose le iniziative e le aziende dedicate al riuso dei materiali da costruzione, che operano dallo smontaggio stesso alla commercializzazione di parti costruttive provenienti da preesistenze, offrendo una serie di servizi per incoraggiare un cambiamento nel modello costruttivo come lo conosciamo oggi.
Questo è ciò che è stato dimostrato da Arquivo, azienda e Think-tank fondata dagli architetti Natália Lessa e Pedro Alban a Salvador (Brasile). Con la missione di semplificare il riuso dei materiali, Arquivo offre servizi come la rimozione fisica di materiali riusabili, la vendita di elementi da riusare, la consulenza e assistenza ai progetti, oltre a condurre un’indagine focalizzata sulle possibilità di riuso nel contesto brasiliano, per stabilire una “funzionale industria del riuso su scala nazionale – necessariamente composta da altri attori oltre Arquivo”, come descritto nel loro sito web.
I cosiddetti “attori” dell’economia circolare vanno oltre le aziende esperte nel riuso e comprendono dai rigattieri agli architetti, ai designers e agli ingegneri. Anche se spesso l’attività di riuso dei materiali esiste già senza la necessità di un’azienda esperta sul territorio, quando agiscono da soli, questi attori di solito trovano alcune difficoltà nelle operazioni. Così, le aziende specializzate nel riuso dei materiali da costruzione in diverse fasi lavorano come facilitatori del processo e, in questo senso, Arquivo si distingue come pioniere nel contesto brasiliano.
Nella stessa direzione, Rotor DC, una cooperativa belga fondata nel 2014, ha lavorato per organizzare il riuso dei materiali da costruzione nel disassemblaggio e nella commercializzazione, oltre a collaborare con enti governativi nell’elaborazione di guide e regolamenti per incoraggiare il riuso come una pratica in architettura, quali il l‘Handbook for Reuse off Site e il volume A guide for identifying the reuse potential of construction products..
La rete di aziende e iniziative legate al riuso dei materiali da costruzione è cresciuta negli ultimi anni e punta a un futuro più promettente per quanto riguarda lo smontaggio e il riutilizzo come pratiche ricorrenti in architettura. Ma oltre a questo movimento, è anche necessario incoraggiare e regolamentare la pratica attraverso, ad esempio, schede di valutazione della possibilità di riuso di parti di costruzione prima dei lavori; certificazioni per progetti che riutilizzano materiali da costruzione; e promozione di crediti d’imposta, cercando di ridurre la differenza di costo tra demolizioni e smantellamenti. Sebbene i materiali di riuso presentino un costo significativamente inferiore a quelli nuovi, il costo della manodopera nelle decostruzioni è più alto che nelle demolizioni.
Infine, se lo smontaggio è un’opzione praticabile per la demolizione (o per ridurre i detriti da essa generati), è anche necessario pensare a come facilitarla fin dall’inizio del progetto, prestando particolare attenzione all’unione dei materiali e alla preferenza per raccordi e fissaggi meccanici, come implica il concetto di Design for Disassembly (DfD) – “design per disassemblare”. Pensare e agire in tutte le fasi del ciclo è il modo per invertire la logica unidirezionale del consumo-smaltimento e promuovere un’economia circolare.
Come metodo per preservare non solo le parti stesse della costruzione, ma anche un costruttivo modo di agire, lo smantellamento di questi elementi, piuttosto che la loro demolizione, indica nuove possibilità per reinterpretare la costruzione basata sulla decostruzione. Questo movimento, al di là della scala dell’edificio, contribuisce a cambiamenti significativi e necessari nel modello di costruzione lineare. »
Si veda anche:
https://www.archdaily.com/tag/reuse
https://www.archdaily.com/tag/recycling
Riferimenti: