IL PROGETTO DELL’ARCHITETTO GIAPPONESE KENGO KUMA PER IL NUOVO PORTICO DEL DUOMO D’ANGERS, IN FRANCIA, APPORTA UN CONTRIBUTO GENIALE ALL’ARTE DELL’ADDIZIONE “ANALOGICA”, CHE CONTINUA A COGLIERSI IN TANTE PROPOSTE INCENTRATE SUL TEMA DELL’ETERNO RAPPORTO TRA CONSERVAZIONE E INNOVAZIONE, TUTTORA CRUCIALE PER LA TUTELA ATTIVA DEI PATRIMONI MONUMENTALI.
Stanno avendo ampia diffusione le immagini del progetto di Kengo Kuma per il nuovo portico della Cattedrale di Angers, pregevole edificio religioso in stile romanico e gotico-angioino, che dal lontano 1862 è dichiarato monumento storico di Francia.
Il progetto di Kuma è l’esito di un concorso a inviti bandito nel 2019 dal Ministero della Cultura francese, per il tramite della Direction Régionale des Affaires Culturelles (DRAC) Pays-de-la-Loire, che ha sede a Nantes, allo scopo di proteggere le sculture policrome che adornano gli strombi del portale principale, restaurate accuratamente pochi anni fa e bisognose di essere tenute al riparo dalle intemperie. Si tratta di sculture di eccezionale valore, in quanto rarissime testimonianze dell’uso del colore nei complementi ornamentali delle cattedrali medievali.
A parere dei funzionari ministeriali, l’originario portico angioino, purtroppo demolito nel 1806 per motivi di fatiscenza, non poteva essere ricostruito fedelmente stante l’insufficienza delle conoscenze documentarie. Donde la decisione di ricorrere al concorso che si è rivelata invero assai proficua, giacché non sempre i concorsi garantiscono, di per sé stessi, risultati ottimali. (Molto dipende dai contenuti e dalla scelta delle giurie).
Va comunque detto che l’esistenza in Francia delle Unités Départementales de l’Architecture et du Patrimoine (UDAP), nelle ambito delle DRAC a cui sono assegnate specifiche competenze in materia di promozione dell’architettura, è un fattore che spesso gioca un ruolo importante nel favorire scelte di alto livello qualitativo.
Tra i progettisti che dominano l’attuale panorama internazionale, il giapponese Kengo Kuma, nato nel 1954, è di sicuro uno dei più acclamati e talentuosi. Egli incarna molto bene la persistente vitalità di una cultura nazionale, diffusasi mondialmente. Che dal maestro Kenzo Tange, passando per altre personalità di grande successo (quali Kisho Kurokawa, Toyo Ito, Arata Isozaki, solo per citare chi mi viene in mente senza sforzi mnemonici), è giunta a porre il Giappone ai vertici della civiltà architettonica contemporanea.
Ciò che si apprezza maggiormente dell’opera di Kuma, autore peraltro dello Stadio Olimpico di Tokyo inaugurato nel dicembre 2019, è il suo approccio inconsueto e innovativo alla progettazione, che riesce a coniugare gli spunti desumibili dalle culture autoctone con invenzioni spesso sorprendenti che arricchiscono di valori non comuni i patrimoni della modernità architettonica.
Restauri e rapporti analogici
Riguardo alla nozione di “analogia” in architettura, è necessario risalire al noto pensiero di Eugène Viollet-le-Duc sul restauro architettonico. All’incirca durante i decenni centrali dell’Ottocento, egli ebbe a sostenere che restaurare un edificio doveva implicare una sorta di immedesimazione nello spirito di coloro che avevano operato nel lontano Medio Evo, epoca a cui risalivano i maggiori monumenti religiosi di Francia.
La qual cosa, a suo parere, era necessaria per compiere le scelte più corrette, nell’attuazione di interventi che richiedessero l’integrazione di parti mancanti, o l’aggiunta di parti nuove, per non alterare la facies stilistica delle opere da restaurare.
Con Viollet-le-Duc, la “restaurazione” (come dicono in Francia) dei monumenti, intesa come attività mirante al ripristino o al completamento dell’integrità iconica e costruttiva delle opere, ebbe una fortuna teorica e pratica enorme. Che si espanse in misura minore, in Occidente, solo nel Regno Unito e nell’Impero Britannico, ove la diffusione del pensiero di John Ruskin e dei suoi seguaci prevalse nel favorire la conservazione, ovvero il mantenimento della materia e talvolta dell’immagine degli edifici, anche allo stato di ruderi, quali testimonianze d’una sensibilità estetica d’aura romantica e pittoresca.
Ma tra le tante idee elaborate da Viollet-le-Duc ve ne erano anche alcune che, paradossalmente, avrebbero condotto a esiti alquanto diversi da quelli da lui perseguiti. Gradualmente, tese infatti ad affermarsi l’opinione che non potessero continuare ad attuarsi interventi che costituivano palesi falsi storici. Ossia, che non potessero modellarsi le aggiunte o le integrazioni in forme tali da renderle fintamente identiche alle parti originarie.
Ecco quindi delinearsi il concetto di “sincerità costruttiva”, che dallo stesso Viollet-le-Duc, passando per altri protagonisti della transizione otto-novecentesca verso il modernismo (Victor Horta, Hendrik Petrus Berlage, etc.), approdò al rigetto dei mimetismi stilistici, in favore di una più attenta riflessione sul come intervenire laddove si operava su edifici o contesti antropici esistenti.
Il filone storico del restauro basato sull’integrazione o sulla ricostruzione in stile ebbe credo il suo canto del cigno nell’affermazione del concetto del “dov’era e com’era”. La cui più nota ed estesa applicazione si ebbe nella ricostruzione post-bellica del centro storico di Varsavia, in Polonia, resa possibile dall’esistenza di celebri vedute urbane del pittore Bernardo Bellotto, nipote di Canaletto, che servirono quali documenti molto utili per rievocare l’immagine storica della città andata distrutta.
L’idea conservatrice del “dov’era e com’era” cozzava però con le conquiste architettoniche e urbanistiche del secondo dopoguerra, che furono comunque portatrici di valori modernisti e antipassatisti. La qualcosa concorse a far sì che la cultura progettuale pervenne ad accettare la possibilità di adattamento della modernità alla storia e ai contesti, anche mediante l’invenzione di soluzioni analogiche, basate sulla creazione di rapporti di somiglianza tra entità diverse.
Nella realtà di Firenze, ad esempio, il ricorso all’analogia, riferita non alle linee o alle forme ma alla materia costruttiva, si sostanziò notoriamente a opera del Gruppo Toscano nel Fabbricato Viaggiatori della Stazione ferroviaria di Santa Maria Novella (1932-35), le cui bozze squadrate di pietra forte crearono tangibili dialoghi con la frontistante abside della omonima e imponente basilica medievale. Giovanni Michelucci, capo team del Gruppo Toscano, fu un cultore alquanto assiduo del rapporto analogico tra modernità e preesistenze ambientali, come dimostra anche l’edificio d’angolo tra Via Guicciardini e via dello Sprone (1954-58), che si inserisce garbatamente nello storico contesto dell’Oltrarno fiorentino.
Nel dopoguerra, un coevo cenacolo di fautori dell’analogia in architettura fu quello che si raccolse intorno a Ernesto Nathan Rogers, membro del gruppo BBPR fondato a Milano nel 1932. Quale direttore del periodico “Casabella-Continuità”, erede della “Casa Bella”, Rogers ebbe un ruolo importante nel validare alcuni degli episodi più noti di architetture moderne abilmente inserite in contesti urbani d’antica formazione, quali la sede dell’INA a Parma di Franco Albini (1950-54) o la sede dell’INAIL a Venezia di Giuseppe Samonà (1950-56). Contribuendo con ciò a far sì che l’Italia conquistasse una sorta di primato in questo specifico campo.
Ho fatto queste digressioni per significare che lo studio dei modi mediante i quali potevano crearsi nuove correlazioni tra antico e moderno, divenne importante per l’emersione dell’analogia quale mezzo per ottenere interessanti risultati progettuali. Né banalmente mimetici, né fatuamente stridenti, ma piuttosto studiati e riflettuti con cura, tali da arricchire i contesti di intervento, architettonici o urbani, mediante valori moderni da cogliersi con occhi sensibili.
I pregi del progetto di Kuma
Per quanto si è detto, il progetto di Kuma per il nuovo portico della cattedrale di Angers è considerabile un contributo davvero geniale alla storia perennemente in divenire dei rapporti tra antico e moderno in architettura. Anche avendo potuto disporre di documenti atti a ricostruire fedelmente il preesistente portico, “à l’identique” come dicono in Francia, vi sarebbe stato da chiedersi quali valori avrebbe avuto una operazione tale, rinunciataria a priori sul piano creativo.
E’ stata quindi una fortuna che il Ministero della Cultura abbia deciso di bandire il concorso, vinto dallo studio Kengo Kuma & Associates con la proposta che stiamo illustrando ed elogiando. Il cui pregio maggiore consiste per l’appunto nell’aver contemperato, dialetticamente, le esigenze di tutela e di preservazione del monumento storico con le esigenze di protezione delle sculture policrome.
Mediante un’opera che, configurandosi quale sapiente addizione analogica, apporta nuovi valori contemporanei alla storia plurisecolare del bene architettonico. In tema sia di morfologia, sia di rispondenza alle necessità, sia di scelte costruttive basate sull’uso della pietra a vista, finemente lavorata, che si distingue da quella dei possenti muri della cattedrale.
La giuria che ha premiato il progetto ha inoltre stabilito che l’opera si inserisce in modo tutt’altro che disturbante nel sedimentato contesto urbano. Entro il quale il nuovo portico tornerebbe a connotare la storica facciata della cattedrale d’Angers, svettante col suo westwerk a torri laterali in cima a una lunga scalinata che collega l’insigne monumento religioso al sottostante corso del fiume Maine che affluisce nella Loira.
Lavorando insieme agli architetti ministeriali Vincent e Martin Brunelle, Kengo Kuma non ha voluto strafare, ed è questo il suo merito più grande. E’ come se non avesse fatto altro che scoprire “l’uovo di Brunelleschi”, di cui parla Giorgio Vasari nelle Vite. Egli è stato cauto, riflessivo, ponderato, quasi ieraticamente zen. Disegnando un portico dalle semplici forme rettangolari, evocante l’idea dell’esonartece (la Galilée come lo chiamano in Francia), con grandi aperture arcuate sul fronte e sui lati. Un’opera che ovviamente non copia lo stile medievale della cattedrale ma ne trascrive modernamente l’essenza tecnico-estetica, con ciò creando un sapientissimo dialogo tra il monumento tutelato e la nuova opera che con ritegno e rigore ne integra la facies.
Come avviene questo dialogo ? Mediante l’uso dei fitti profili che segnano le strombature delle aperture arcuate, i quali echeggiano i fitti profili delle strombature autentiche del pregevole portale storico, pur mantenendosi più semplici e lineari. Essi sono pertanto percepibili quali rielaborazioni neutre e nient’affatto pretenziose dello spirito, potremmo dire, di ciò che l’architettura e la scultura del periodo romanico e gotico espressero in modi tipici e ricorrenti.
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Essendo inoltre autoportante e semplicemente accostato alla facciata, senza intaccare la materia costruttiva della cattedrale, il portico si mostra rispettoso della Carta di Venezia (1964), anche in merito all’osservanza del noto principio della “reversibilità” degli interventi, che si considera valido pure nell’ambito del “restauro critico”, come teorizzato da Cesare Brandi, aperto in quanto tale a eventuali apporti moderni.
«La nostra sfida – come si legge nel sito web di Kengo Kuma – è stata quella di creare un dialogo armonioso tra una creazione contemporanea e la preservazione dell’eredità architettonica medievale. Abbiamo voluto metterci nei panni dei costruttori del Medio Evo (…). Il risultato è stato ottenuto usando le più fini lavorazioni della pietra (…). E’ questo processo tecnico che infonde all’edificio un senso contemporaneo, pur rimanendo parte della storia dell’architettura».
Per vari aspetti, le immagini del nuovo portico del duomo d’Angers mi fanno venire in mente la Grundtvigs Kirke in Copenaghen (1921-40), che costituisce una magnifica testimonianza di come la moderna cultura dell’Espressionismo seppe cogliere l’essenza delle tipiche forme medievali del mattone, mediante la semplice ma icastica iterazione dei sottili e lineari profili salienti.
Per altri aspetti, il progetto di Kuma ha la fortuna di integrare al momento giusto il dibattito sul rapporto tra antico e contemporaneo che è attualmente in Francia molto acceso, come attestano i contrastanti pareri sulla ricostruzione della guglia della cattedrale di Notre-Dame in Parigi, andata distrutta da un incendio. Di sicuro il progetto evidenzia che non ha molto senso arroccarsi su posizioni estreme e antitetiche, che negano il valore della riflessione su ciò che la contemporaneità “sapiente” può dare alla storia, ispirandosi ad essa ed arricchendone il costante divenire.
Del resto, come sostengo da tempo, si può dire che non esistano monumenti architettonici, anche celebri, che non siano l’esito di palinsesti diacronici, ascrivibili spesso a periodi molto distanti. La stessa cattedrale di Saint-Maurice d’Angers è una testimonianza tangibile delle vicende storiche che hanno concorso a determinarne l’aspetto attuale, fatto di episodi diversi ma comunque assorbiti nel tempo, per omogeneità materica, entro un’aura d’impatto unitario.
Vi è comunque da dire che due altri partecipanti al concorso, lo studio di Philippe Prost e quello di Rudy Ricciotti, hanno proposto anch’essi soluzioni ispirate alla chiave stilistica della fitta sequenza di modanature scultoree, seppure limitate alla protezione non di un’ampia parte bassa della facciata ma della sola area antistante il pregevole portale gotico-angioino.
Il che significa che l’arte del dialogo analogico, nel campo degli interventi su edifici di valore storico-culturale, risulta ben lungi dall’aver smesso di costituire una risorsa preziosa e ricca di possibili ispirazioni per progettisti, valutatori, tutelatori dei patrimoni monumentali.
EMas (Emanuele Masiello) – Ottobre 2021
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Per saperne di più:
- https://kkaa.co.jp/works/architecture/la-galilee-de-saint-maurice-dangers/
- https://www.archdaily.com/969230/kengo-kuma-unveils-contemporary-intervention-to-preserve-historic-cathedral-in-france
- https://www.archiportale.com/news/2021/10/architettura/kengo-kuma-per-la-cattedrale-di-saint-maurice-d-angers-in-francia_84996_3.html