TIMORI PER LA SORTE DI UN IMPORTANTE MONUMENTO RELIGIOSO NEOZELANDESE, DANNEGGIATO DAL TERREMOTO
Gli eventi calamitosi, si sa, hanno spesso inferto colpi pesantissimi al patrimonio culturale. I terremoti soprattutto possono essere disastrosi per edifici, quartieri, città intere. In Italia lo sappiamo bene, visto che la storia dell’edilizia (e talvolta dell’architettura) ha spesso coinciso con la storia degli interventi post-sismici, i quali il più delle volte vanno a rilento, oltre che per la disorganizzazione e la penuria di fondi, per gli interrogativi che si pongono al ‘se’, al ‘dove’ e al ‘come’ ricostruire.
Una soluzione che mi ha affascinato, artisticamente, è quella compiuta tra il 1984-89 da Alberto Burri a Gibellina in Sicilia, dove le macerie del paese furono cementificate e trasformate in materici cretti espressivi, in chiave paesaggistica, del terribile evento che scosse la terra. Non sempre però, l’apporto geniale degli artisti può bastare a infondere nuovi valori ai resti dei moti tellurici. Di solito, si pongono questioni che richiedono attente e concrete valutazioni, soprattutto in merito alla fondamentale antinomia storica coincidente con l’alternativa tra demolire o restaurare.
E’ ciò che sta accadendo a Christchurch, in Nuova Zelanda, dove un terremoto di magnitudo 6.3 della scala Richter, il 22 febbraio 2011, ha lesionato gran parte del patrimonio urbano, danneggiando tra l’altro la Cattedrale Anglicana e la Cattedrale Cattolica, ovvero i due maggiori monumenti religiosi cittadini. In queste brevi note voglio però soffermarmi sulla sola Cattedrale Cattolica dedicata al Benedetto Sacramento (Cathedral of the Blessed Sacrament), conosciuta anche come ‘Basilica di Christchurch’, in quanto rischia di scomparire ed è al centro di un’attenzione che verte su più generali tematiche afferenti alla tutela culturale.
La chiesa madre della Diocesi Cattolica Romana di Christchurch fu costruita tra il 1901-1905 su progetto di Francis Petre, un professionista tra i più autorevoli del suo tempo, in possesso dei titoli sia di ingegnere sia di architetto. Neozelandese di nascita ma inglese di ascendenti, Petre fu autore di tre delle maggiori cattedrali cattoliche neozelandesi: quella di Dunedin in stile neogotico, quella di Wellington in stile neoclassico, quella appunto di Christchurch in stile neobarocco-neoclassico. La qual cosa costituisce un’esperienza assai rara nella storia di un Paese, quantunque le preferenze eclettiche e storicistiche furono coerenti con quelle prevalenti nel vastissimo Impero Britannico e nei territori ad esso correlati, nei decenni tra fine Ottocento e inizi Novecento.
Sta di fatto che lo stile scelto da Petre, per la Cattedrale del Benedetto Sacramento, rese l’imponente edificio ecclesiastico uno degli episodi di maggiore risalto visivo nel panorama architettonico cittadino. Caratterizzata da una facciata con torri campanarie laterali e da una parte presbiterale dominata da una cupola con alto tamburo finestrato, la Cattedrale possedeva notevoli pregi estetici e costruttivi. Quali quelli riferibili all’originale modo di impiego dei colonnati trabeati (ionici e corinzi), sia all’esterno sia all’interno, oppure quelli rilevabili nell’ibridazione non banale di fonti d’ispirazione molto note nel mondo architettonico (Saint-Vincent-de-Paul e Saint-Sulpice a Parigi, St. Paul’s Cathedral a Londra).
La grande basilica fu inoltre adornata di pregevoli opere pertinenziali, includenti un altare eseguito dall’eminente artista fiorentino Giuseppe Cassioli, autore di vari altri lavori all’estero.
Non è però sui pregi architettonici e artistici che voglio dilungarmi, essendo essi stati vulnerati dal sisma del 22 febbraio 2011 che ha reso mutila la fisionomia originaria della Cattedrale. Sebbene sia stata costruita con calcestruzzo in massa paramentato di pietra, la chiesa ha subìto infatti notevoli danni, perdendo la possibilità di continuare ad essere usata per le attività di culto. Gli interrogativi sul da farsi non hanno però condotto a facili soluzioni.
Il peso dei fattori economici, prioritariamente considerati, ha posto in evidenza che il ripristino completo dell’edificio, includente la ricostruzione accurata e fedele delle parti danneggiate o mancanti, sarebbe molto più costoso della costruzione dalle fondamenta di un nuovo edificio, in un altro sito o nello stesso sito previa demolizione di ciò che resta dell’edificio pre-sisma. La qual cosa ha indotto le autorità diocesane a pronunciarsi apertamente per la costruzione di una nuova cattedrale, con molti più spazi e servizi acclusi, che è però avversata da chi preferirebbe invece recuperare il bene architettonico, che risulta peraltro incluso dal 1983 negli elenchi del New Zealand Historic Places Trust.
Astraendo dalla specificità di Christchurch, il tema è di cruciale importanza per il divenire storico delle politiche e degli orientamenti che interessano il patrimonio culturale nel mondo globalizzato. La tendenza prevalente in Italia, riguardo alla prassi conservativa, è quella valorizzata da Cesare Brandi, secondo la quale nel caso di danni causati da eventi calamitosi (terremoti, guerre, etc.), il restauro di ripristino (“com’era e dov’era”) è consentito, pur nell’ambito di scelte critiche. E’ quanto ad esempio è accaduto a Firenze, nei casi della ricostruzione del Ponte a Santa Trinita (distrutto dai nazisti in ritirata) o della sede dell’Accademia dei Georgofili (distrutta da un attentato con esplosivi), oppure a Venezia, nei casi della ricostruzione del Campanile di San Marco (crollato improvvisamente) e del Teatro La Fenice (sconvolto da un incendio). Ed è inoltre quanto sta accadendo a Parigi, dove il restauro della copertura della celebre Cattedrale di Notre-Dame (anch’essa devastata dal fuoco) sta beneficiando di un cospicuo aiuto economico dello Stato francese, che si è assunto la responsabilità di accollarsi oneri non altrimenti sostenibili dalla sola Chiesa Cattolica, proprietaria del bene.
Risiede proprio in tali aspetti, a mio avviso, la soluzione al problema del maggior dispendio di denaro che comporterebbe il restauro della Cattedrale Cattolica di Christchurch. Nell’elevato valore culturale che le istituzioni pubbliche potrebbero e dovrebbero attribuire al bene religioso, il cui ripristino delle fattezze fisiche ed iconiche sarebbe da favorire in quanto monumento architettonico che comunque ha segnato la storia di una città e di una popolazione.
In altre parole, la preferenza per il restauro dovrebbe scaturire dalla valutazione, insieme ai pur basilari fattori economici, di altri importanti fattori o parametri quali quelli legati alla storia, all’identità, all’arte, all’appartenenza collettiva, ect. I monumenti religiosi non sono infatti mere espressioni del potere spirituale, ma sono spesso emergenze architettoniche primarie dei paesaggi urbani e dei patrimoni culturali locali o nazionali di cui fanno parte.
Per questo, desta alquanto sconcerto la notizia dell’esistenza di un contratto che sarebbe stato già sottoscritto da un’impresa locale, per lo sbrigativo abbattimento di ciò che resta della Cattedrale. Può essere che le autorità ecclesiastiche non siano molto sensibili ai temi della tutela, ma appare comunque sbagliata la decisione di demolire l’opera, danneggiata dal sisma in modo tutto sommato rimediabile, cancellando di fatto una testimonianza di enorme valore soprattutto per la storia della comunità cattolica. Per quel che se ne sa, non sono stati nemmeno esperiti tentativi di considerare i resti dell’edificio religioso quali ruderi da inglobare in una possibile riprogettazione del contesto, come per esempio è stato fatto intelligentemente con la Gedächtniskirche a Berlino.
Solo la tabula rasa parrebbe il triste destino che attende la Cattedrale Cattolica di Christchurch, che rischia quindi di scomparire insieme ai complementi ornamentali e liturgici che meriterebbero anch’essi di essere salvati. L’appello ufficiale e urgente alle autorità nazionali e internazionali preposte alla tutela del bene e più in generale alla protezione dei patrimoni culturali (UNESCO) parrebbe quindi un atto dovuto. La promozione di una raccolta fondi straordinaria da destinare alla valorizzazione dell’opera non sarebbe infatti bastante a scongiurare il compiersi di ciò che pare imminente.
In una città come Christchurch che può vantare ben due cattedrali cristiane architettonicamente importanti, emblematiche dello storicismo e dell’eclettismo stilistico, sarebbe davvero paradossale che gli uomini di chiesa distruggessero ciò che persino il terremoto è riuscito a risparmiare.
EMas (Emanuele Masiello) – 4 settembre 2020
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