Anche chi conosce alquanto bene la storia della cultura venatoria italiana, per come si è radicata e tramandata nel tempo, non è raro che possa incorrere in equivoci nell’intendere il significato di talune parole desuete, specie se riferite a opere che furono di per sé speciali quando esistettero, restandolo ancor più, nell’uso del lessico odierno, a seguito della loro quasi completa sparizione.
Sono pertanto lieto di pubblicare in questo sito web, pur a distanza di qualche anno dalla sua edizione a stampa nel “Bollettino 2018” degli Amici di Palazzo Pitti (col titolo esteso di: L’uccellagione e la composizione paesaggistica del Giardino di Boboli nel Seicento), uno scritto di Giorgio Galletti, insigne studioso di giardini storici italiani, nel quale compaiono preziose notizie sulle “ragnaie”, opere in prevalenza vegetali ma non prive di manufatti artigianali, aventi lo scopo i catturare gli uccelli in abbondanza e con relativa facilità.
Ritengo che il saggio di Galletti sia interessante (e quindi meritevole di essere ripubblicato) non solo per i rimandi ad altre significative esperienze coeve, ma anche per gli accenni ad altre opere affini alle “ragnaie” – quali gli “uccellari“, i “paretai“, etc. – e, a mio avviso soprattutto, per l’utilizzo di fonti documentarie che sono basilari per la conoscenza storica degli apprestamenti che resero ingegnosa, per quanto oggi giudicabile malvagia, la pratica venatoria in Italia. (EMas – luglio 2024)
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